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ARITZO

ARITZO

Un villaggio

di montagna

Aritzo è un villaggio di montagna del versante occidentale del Gennargentu, compreso geograficamente nella Barbagia di Belvì, e amministrativamente nella provincia di Nuoro e di entrambe assume simbolicamente la funzione di confine e varco d’ingresso verso il meridione dell’Isola. La sua competenza territoriale si estende su una superficie di 7.560 Ha, dai confini con Arzana, lambendo la foresta di Montarbu con Seui, fino alla foresta di Girgini con Desulo, e alla vallata del Flumendosa lungo il confine con Seulo e Gadoni e infine alla vallata di Belvì, Meana e all’altopiano del Sarcidano con Laconi.

La popolazione residente conta attualmente 1300 abitanti circa (nel censimento del 1961 raggiunge il massimo storico con 2469 abitanti) e risente di un forte spopolamento causato da fenomeni migratori diretti principalmente verso il capoluogo della Regione.

L’insediamento sorge a 850 m. s. l. m., sulla costa a bacÍo della montagna Funtana Cugnada, una delle più alte dell’Isola con i suoi 1459 m., ed è immerso in una selva lussureggiante di castagni, noccioli e agrifogli. L’abitato siede su una conca delimitata da due torrenti ed è contornato nelle immediate prospicienze di un gran numero di fonti e sorgenti tali da ispirare il blasone rivoltogli dal vate nuorese Sebastiano Satta, “Regina delle fonti”.

Il nucleo insediativo centrale, nonostante gli stravolgimenti edilizi che hanno accompagnato come nel resto dell’Isola i processi di modernizzazione, mantiene un interessante centro storico con una presenza ancora diffusa di dimore in pietra dotate di ballatoi lignei, propria delle architetture popolari, nonché alcuni esempi di eccellenza nella presenza e conservazione di alcune tipologie di abitazione signorile. Da quelle di impianto spagnolo quali magione Devilla, e Poddighe, alle più recenti versioni rivisitate dall’intervento di Badas (casa Caocci) e casa Mura con il suo stile razionalista. Degno di nota è che l’intero abitato anche nelle sue parti ristrutturate salvo esempi eccezionali mantiene una sua sobrietà di stile, essendo esente da vistose superfettazioni architettoniche o inserzioni stilistiche che indulgono al falso rustico. In molti vicoli interni, stracolmi di fiori, e immersi nel silenzio, è ancora possibile sentirsi immersi in atmosfere legate a ritmi e modi di vita lontani nel tempo. Ció è un invito al visitatore a percorrere l’abitato e a viverne possibilmente con l’interlocuzione degli abitanti, scampoli di storia e di tradizioni locali.

Le origini del villaggio si perdono in un tempo molto remoto come sembrano provare le incisioni rupestri presenti in alcuni siti del suo territorio, anche se il nome di Aritzo compare per la prima volta solo nel 1388 nei documenti relativi alla pace stipulata tra gli Aragonesi ed Eleonora di Arborea del cui giudicato Aritzo faceva parte. Successivamente il paese come il resto della Barbagia di Belvì, entrato nell’orbita catalano-aragonese e poi spagnola, dopo un breve periodo di gestione feudale fallimentare, divenne feudo personale del sovrano spagnolo che volle sottrarre l’intera area alle ingordigie dei feudatari.

Ritenuta un’area di vitale importanza, sul piano ecologico e socioeconomico, se ne comprende l’elezione quale sito in cui il viceré in fuga dalle pestilenze del ‘600 vi soggiorna spesso, e in cui istituire una prigione Regia amministrata direttamente in origine dai funzionari della Corona. Le stesse ragioni spiegano probabilmente unitamente alla tradizionale imprenditorialità degli aritzesi, l’istituzione della privativa delle nevi per la produzione di ghiaccio, assegnata alla comunità di Aritzo.

L’attività di incetta e commercio della neve é certamente la pratica che ha qualificato l’identità comunitaria dei suoi abitanti come “montalgios” montanari, cavallanti e viandanti girovaghi, venditori di neve e carapigna ma anche di castagne e casse intagliate, che percorrevano l’isola intera per smerciare i propri prodotti.

Sede di

villeggiatura estiva

Sede di villeggiatura estiva per eccellenza nell’Isola da antica data, Aritzo, lasciatasi alle spalle la monocoltura della pecora, esprime oggi la più consistente dotazione infrastrutturale nel campo del turismo montano che ha decisamente orientato verso un intelligente soggiorno culturale, di cui ambiente naturale e gastronomia sono gli elementi portanti. In un territorio pressochè incontaminato nella sua interezza, scarsamente antropizzato e ricchissimo di flora e fauna selvatica, alcuni siti meritano in pieno il riconoscimento dell’eccellenza e dell’unicità, anche rispetto al contiguo e interessantissimo territorio dei villaggi confinanti.

Accanto alle sconfinate vallate di Mont’e Cresia, Sa Trebid ‘e s’ifferru, Mont’orrubiu, solcate dal rio Su Fruscu, tributario più importante del Flumendosa, regno del selvatico e del muflone, accanto agli amplissimi spazi aperti di Funtana Cugnada, che dilagano lo sguardo fino all’Ogliastra, e di cui colpisce la vastità dei silenzi, assume notevole interesse etnografico ed emozionale una visita all’ovile comunitario di Unistri in cui il tempo sembra essersi fermato a epoche lontane. Vi permangono infatti particolari manufatti di sola pietra e legno con coperture anch’esse di sola pietra, caratteristici di questa sola area della montagna sarda. Pari interesse, ecologico ma anche paesaggistico assume la presenza della più grande ginepreta d’Italia tra Sa enna ‘e sa pira e Is Montagnas, estesa per oltre 97 Ha. nonché le residue fustaie di castagno di Geratzia, che assommano ancora a qualche centinaio di alberi di stupefacenti dimensioni, giudicati come i castagni più antichi d’Europa. Una visita guidata dei siti, consente un’immersione totale nel sistema di segni, suoni, ritmi, sapori e odori della vita reale dei montanari, olisticamente esperibile in una visione scevra di strabismo folkloristico e ancorata ai reali processi storici e alla dimensione sociale della comunità.

Si scoprirà così dietro i fatti della cultura materiale e immateriale locale, l’esistenza di uomini in carne e ossa, creatori e portatori di una loro visione del mondo e della vita, artefici di progetti realizzati, quanto di attese e speranze, perfino sogni palingenetici, che nulla pretendono nel dialogo con noi, attesa la discrepanza di linguaggi e codici che il tempo sempre comporta, se non l’adozione di un approccio intellettualmente onesto.