MUSEALE TERZO SITO

Museo
Antonio Mura
Il Museo Mura, che ha sede nell’ex municipio in Pratz’e Iscola, è uno spazio dedicato al pittore Antonio Mura all'interno del quale sono presenti le sue maggiori opere, e tante altre donate al comune da privati e dai suoi familiari; uno spazio che lega l’artista con i suoi compaesani, per mostrare e celebrare la grandezza e bravura di un sardo dei primi del 900. La bellezza che attraverso il tratto pittorico ci riporta in quella Sardegna fatta di tradizioni e di colori, colori dei meravigliosi tessuti sardi che Antonio Mura riporta nelle sue opere. Volti di donne e uomini che sfidano la vita per un mondo migliore.

Chi è
Antonio Mura
Antonio Mura, pittore e incisore, è tra i più rilevanti artisti sardi del Novecento. Nasce ad Aritzo il 12 Gennaio 1902, ultimo di cinque fratelli, ha un nonno avvocato e un padre esattore delle tasse, la sua famiglia è stimata in paese. Dopo il liceo classico a Cagliari, si trasferisce a Roma, dove frequenta la Reale Accademia delle Belle Arti – tra i suoi docenti, personalità del calibro di Adolfo De Carolis e Duilio Cambellotti – e i corsi liberi del nudo nell’Accademia Inglese. Gli anni romani significano anche e soprattutto la frequentazione di alcuni luoghi fondamentali dell’arte, i Musei Vaticani, il Museo di Valle Giulia, il Museo Borghese, Villa Torlonia. Successivamente compie viaggi e soggiorni di studio a Firenze, Venezia e Milano.
Al 1933 risale la sua prima mostra personale, allestita a Cagliari alla Galleria Palladino, viene accolta con favore dal pubblico e recensita positivamente dai critici. Partecipa alle Sindacali regionali e, ancora a partire dagli anni Trenta, + presente nelle più prestigiose rassegne nazionali, tra le quali la Quadriennale Romana e la Biennale di Venezia.
Le opere di Mura affrontano i principali generi pittorici, dalle grandi composizioni di figure ai ritratti – particolarmente rappresentativi quelli dei bambini – ai paesaggi e alle nature morte. Ma, uomo profondamente religioso, è soprattutto la pittura sacra a contraddistinguerlo nel panorama della sua epoca.
Negli anni del secondo conflitto mondiale vive ad Aritzo, per poi trasferirsi a Cagliari alla fine della guerra. Qui intraprende quel sodalizio con i padri mercedari che lo conduce alla realizzazione delle sei opere per la Basilica di Bonaria, sue pale d’altare si trovano, inoltre numerose, in altre chiese della Sardegna e a Roma. A Cagliari è anche insegnante – al Liceo Parificato diventato poi Liceo Artistico – molto amato dagli studenti per la sua professionalità e per l’innata gentilezza. Per questo ancora oggi gli aritzesi amano ricordarlo, con affetto e orgoglio, come su pintore o su professore. Muore a Firenze, dove trascorre l’ultimo periodo della sua esistenza, il 7 Aprile 1972.
La sua
Pittura
Ad accoglierci è la figura di una giovane donna, che porta una cesta di arance e pare volerci introdurre al mondo pittorico di Antonio Mura. Un mondo in cui si possono riconoscere le immagini di un’identità fortemente sentita e intimamente legata ad Aritzo, ma aperta ad un’esperienza estetica e nuova, originale, nutrita di una salda cultura visiva.
La figura di donna – l’opera del 1927, si intitola Figura decorativa – campeggia maestosa tra le case bianche di una via del paese illuminata dal sole. Tutta definita nella sua linea di contorno, si lascia cogliere dalla luce che scorre sulle maniche bianche s’incunea tra le pieghe della gonna color carminio.
Su un fondo indefinito e scuro sono costruite invece le figure dei suonatori nel Concerto, dipinto riferibile ai primi anni Trenta: la natura morta descritta in primo piano parla della sacralità che si cela in un esistenza umile, come testimoniano il pane e il vino, simbolo eucaristico.
Le altre opere nella sala – composizione di figure, paesaggi e nature morte – rivelano riferimenti artistici che spaziano dal Seicento alla modernità e mostrano evidenti il mutare il passare del tempo, delle scelte stilistiche del Mura.
La sua pittura, si fa infatti via via più sintetica, progressivamente il colore assume una spiccata libertà espressiva, come un emozione che affonda in radici salde. Pittura “compendiaria” la definire negli anni Cinquanta lo studioso Nicola Valle, attento estimatore del pittore aritzese.
Era stato lo stesso Valle, nel recensire la prima personale del 1933, a catturare, infine l’importanza dei ritratti nella produzione di Mura, in particolare dei ritratti dei bambini, perché i bambini tra tutte le creature sono le più vicine a Dio. “a Galleria Palladino è, in questi giorni” aveva scritto Valle, “tutta sorrisi. Occhieggiano dalle tele di Mura monelli furbi e paffuti, dal musetto sporco ed il berretto a sghimbescio, e bambini dallo sguardo mite che ci guarda o dolcemente come se richiedessero una carezza”.


La sua
Passione
Antonio Mura si sofferma spesso a raffigurare con delicatezza l’universo femminile.
Le opere si dispiegano come in un affascinante fregio della vita, che abbraccia le differenti età e dall’infanzia giunge alla vecchiaia, passando attraverso il tempo della giovinezza, colmo di speranze.
Una speranza silenziosa, discreta, attraversa il dipinto La Sposa, realizzato nel 1925. L’anno successivo, nel 1925, viene selezionato dalla giuria ed esposto alla III Biennale romana, accanto alle opere dei maestri dell’Accademia delle Belle Arti. Al centro della tela è una giovane in abito tradizionale, inginocchiata all’interno della parrocchiale di San Michele ad Aritzo; la donna anziana alle sue spalle contribuisce a rafforzare il senso dello spazio e la solidità dell’architettura. La ragazza ha occhi neri e lucidi, messi in risalto dal bianco che le avvolge il viso e dalla ricchezza cromatica dei rossi, dei gialli e dei blu che accendono la composizione, tra le mani stringe un rosario prezioso, descritto con minuzia di dettagli, ma tutta l’atmosfera parla di una purezza semplice e familiare.
Le altre opere declinate con quella varietà di stile che caratterizza le diverse fasi della sua produzione, Mura sa intuire gesti appena rivelati. I ritratti, come sempre nel pittore, tendono a cogliere l’essenza e non l’esteriorità, a rivelare il sentimento della sacralità della vita; allo stesso modo le ambientazioni mandano sempre a qualcosa di profondamente religioso, anche quando si tratta di umili interni domestici.
La sua
Arte
Se tutta la sua arte riflette l’anelito a celebrare l’armonia del creato, con profonda devozione, nel corso dei decenni Antonio Mura dipinge significative opere di soggetto propriamente religioso, oltre alle numerose pale d’altare in Sardegna e a Roma. Nel 1937, inoltre realizza il ritratto del Cardinale Pacelli, futuro papa Pio XII.
A dominare è l’imponente tela con l’Adorazione del Venerdì Santo, dipinta nel 1928 ed esposta l’anno successivo alla Primavera fiorentina. Nella composizione, impostata sull’equilibrio di linee direttrici verticali e orizzontali, l’architettura austera misura lo spazio degli uomini e accoglie il mistero del tempo divino non misurabile, le figure esprimono grande concentrazione, assorte nel silenzio dell’atto rituale che rinnova il sacrificio della croce. Il Crocifisso costituisce infatti il punto verso il quale converge tutto il phatos da cui è caratterizzata la scena.
Il tema della Crocifissione è ripreso anche in un’opera del 1944, uno dei non frequenti dipinti realizzati da Mura negli anni della seconda guerra mondiale, che lo vedono impegnato soprattutto come incisore. Qui il figlio di Dio è rappresentato nell’attimo immediatamente successivo alla morte: quell’attimo in cui non sono ancora del tutto svanite le ombre del patimento, il corpo è ancora livido ma già si percepisce la serenità della gloria; quel fugace volgere di un istante in cui si rende manifesto anche visivamente il dogma della duplice natura umana e divina di Cristo.
È un quadro “che rivela al primo sguardo viva commozione estetica”, ebbe a scrivere un commentatore, “e fissa l’attenzione dell’osservatore che prima analizza, poi ammira e con trasporto si abbandona alla contemplazione di quell’effige che ispira dolcezza, pietà e amore nel sommo dolore divinamente contenuto”.
