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UNTULGERAS

UNTULGERAS

LOCALI ALCUNE TRADIZIONI

Untulgeras
Le insidie dello spazio

IStando alla tradizione orale, nelle untulgeras venivano deposte le carogne del bestiame (falcidiato dalle morie dovute a malattie epidemiche ancora frequentissime nel secolo XIX), per attirarvi gli avvoltoi che mancando di ampi spazi di manovra e non riuscendo a spiccare il volo, potevano essere abbattuti a colpi di bastone. Queste costruzioni sarebbero state edificate in data imprecisata dalla Confraternita del SS. Rosario, un’associazione religiosa e di mestiere con scopi di assistenza tra gli appartenenti, attiva ad Aritzo fino alla fine dell’Ottocento.
L’allestimento della trappola era un’operazione eseguita con scrupolo, al punto che le esche non venivano gettate alla rinfusa nelle fosse ma disposte con accortezza sempre col capo rivolto a occidente, per avere la certezza di attirarvi le prede. Una convinzione questa che nasceva dall’idea invalsa nel mondo pastorale, secondo cui gli esseri viventi che muoiono ogos a sole con la testa protesa dove sorge il sole non vengono assaliti da altri animali o insetti. Nei casi in cui non vi erano morie di animali domestici, le trappole venivano alimentate ripiegando su un ispeigu, un animale malsano e difettoso presente in un gregge che veniva all’uopo sacrificato, come pure avveniva presso altre comunità che tuttavia praticavano la caccia all’avvoltoio con le armi da fuoco, senza ricorrere all’insidia delle trappole scavate a terra. Situate in radure o rocciai spogli, questi manufatti sono costituiti da fosse circolari dotate di muratura interna con diametro e profondità variabile tra i cinque e i sei metri, alla cui conduzione attendevano is unturgiadores, che governavano l’intero ciclo operativo dalla manutenzione delle costruzioni all’allestimento e controllo delle trappole. Su di loro incombeva l’incarico di prelevare all’occasione le carogne del bestiame rude o di animali domestici, con cui parare la trappola, nonché l’incarico dell’abbattimento della preda, e del prelievo delle penne con cui si alimentava il mercato isolano della scrittura, che per quanto ristretto comprendeva tutto l’apparato burocratico, quello ecclesiastico, ed altri settori minori. Questi documenti della cultura materiale, mostrano su quale ampiezza di saperi, su quali varietà di risorse e strumenti fosse strutturata la vita della comunità. Non solo le risorse e i saperi della terra: dei campi itineranti, dei pascoli e del bosco, ma anche quelli del cielo. Saperi per acquisire le risorse dell’aria e trasmutarle in beni di alto valore commerciale e culturale. In questo caso, i saperi locali erano alla base e diventavano la condizione stessa della trasmissione del sapere ufficiale colto, veicolato dalla scrittura.